Sul Rio

Sono le nove quando prendiamo il mototaxi e ci facciamo portare al porto di Nanay.
Nella strada per arrivare al molo si affollano venditori di tutto quello che viene dal fiume e dalla jungla: pesci, vermi giganti fatti alla griglia (suri), lagarto (a metà strada fra il coccodrillo e l’alligatore), aguaje (un frutto arancione che si dice faccia venire le tette più grandi), yucca (tipo una patata, ma più legnosa), banane varie. Noi camminiamo in mezzo al pesce e arriviamo alla piccola barca che ci aspetta.
Una lancia di circa otto metri che rispetto alle altre barche sul fiume sembrava di grandissimo lusso.
Arriviamo al quartiere di Belen, questa volta dal fiume. Le case, per la maggior parte palafitte, in questo periodo dell’anno mostrano la loro struttura per intero, visto che il fiume è molto basso.
Il fiume é il centro della vita, tutto accade lungo il fiume.
Le barche che partono per la Colombia e il Brasile (circa due giorni di navigazione, posto amaca a circa 15 soles), l’industria del legno, i bambini che giocano, le donne che fanno il bucato.
Ogni tanto qualche rumorosa barca a motore disturba la calma placida di questo luogo.
Noi continuiamo la navigazione placidamente. Senza fretta.
L’acqua scura del Rio delle Amazzoni ogni tanto ci schizza, mentre il sole é ben alto sull’equatore.

Arriviamo su una costa dove c’è un centro di recupero animali feriti. Una specie di ospedale per animali in difficoltà. Peccato che il ragazzo che ci ha accolto non avesse alcuna voglia di spiegarci gli animali, tutto preso com’era dal suo terribile raffreddore.
Fatto sta che abbiamo visto da vicino (e toccato) un’anaconda ferita alla coda e al collo, due tucani, tre boa constrictor (non toccati, quelli), scimmiette miste e, finalmente, un bradipo.
Il bradipo é fra i miei animali preferiti (insieme al suricato). In spagnolo si chiama Oso Perezoso, orso pigro. Noi gli abbiamo dato un po’ noia, si é svegliato e ci ha guardato sonnolento. Ma solo per un attimo.

Nel rientrare, ci siamo fermati su una spiaggia. Le spiagge si formano solo per tre mesi all’anno. Il terreno sembra un po’ metallico, la sabbia bollente. Nei tre mesi in cui qui c’è asciutto si fanno dei fuochi per bruciare gli scarti lasciati dal fiume e preparare il terreno per la semina. Si pianta riso e qualche filare (per la verità un po’ stentato) di fagioli.

Pranziamo con mezzo mango, due banane e una fetta di ananas, un pezzo di pane e un paio di tamales.
Il cielo si annuvola, noi rientriamo al porto mentre si prepara la pioggia.
Aspettiamo il tramonto in un bar sul lungofiume.
Quando andiamo in aeroporto é già buio.
Ci aspetta l’ultima notte a Lima, prima di rientrare a casa.

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