Iquitos, Perù. O no?

La prima idea era stata Manu. O Puerto Maldonado. Poi, quando ho letto che bisognava avere molti più giorni per un giro nel bacino amazzonico da quella parte, ho scelto Iquitos.
Mesi a cercare di convincere chi mi accompagna che Iquitos “is the place to be” e a convincere tutti che tre giorni sul Rio delle Amazzoni sarebbe stata un’esperienza. Avevo ragione.
Siamo ad Iquitos da un paio di giorni, non sembra di essere in Perù.
Questa città fu fondata verso la metà del 1700 come missione gesuita, che avrebbe dovuto contribuire alla conversione al cristianesimo dei popoli amazzonici.
Alla fine del 1800, la popolazione si é praticamente duplicata, grazie al boom del mercato della gomma.
Poi un giorno, un personaggio illuminato, portó fuori dall’Amazzonia i semi dell’albero della gomma e li piantó in filari da qualche parte in Malesia: molto più facile che raccoglierla girovagando alla cieca nella foresta. Da lí a poco la potenza di Iquitos inizió a scemare.
Negli anni successivi, la città si mantiene con l’agricoltura e vendendo animali esotici agli zoo.
Negli anni 60 c’è un nuovo boom: il petrolio, che consente ad Iquitos di essere la città che é oggi.

Iquitos é diversa da tutto il resto del mondo. Iquitos é calda, puzzolente, ma affascinante. Le grandi case coloniali ricoperte di ceramiche colorate si intervallano a catapecchie che sono poco più che capanne. Qualche SUV lungo le strade fa da controparte all’infinito numero di mototaxi che girano come sciami impazziti per le strade del centro.

Ci lasciamo portare al mercato di Belen. Ho visto molti mercati nella mia vita, sono una delle cose che mi piacciono di più.
Vedere cosa la gente vende, cosa compra, come. L’odore della carne al caldo, le spezie, gli umani.
Ci siamo persi nel mercato, vagando senza direzione passando fra teste di bue, tartarughe squartate, cortecce, ristoranti che vendono il caldo de gallina, donne che con un movimento ritmico sembrano montare a neve la schiuma della birra per poi venderla in bicchieri, da mangiare col cucchiaino.

La giornata scivola leggera.
Nel primo pomeriggio prendiamo una barchetta che ci porta a mangiare su un ristorante che galleggia sul fiume. Mangiamo la doncella, uno dei pesci del Rio delle Amazzoni, avvolto in una foglia di palma e coperta di cipolla rossa, pomodoro e cilantro. Dopo anni sto facendo l’abitudine a questa erba che tanto odiavo.

Rientriamo che é pomeriggio inoltrato, un pappagallino fischietta nel giardino vicino alla nostra camera. Noi aspettiamo che scenda la sera, per tornare alla piazza e vedere di nuovo la gente che guarda gli artisti di strada e ride e si diverte, in un angolo di mondo che non sembra di questo mondo.

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