Como arequipeños

Siamo in Perù da una settimana. Sette giorni che sono scivolati leggeri, fra un jet lag che non voleva passare, nuovo mondo da conoscere e chilometri da fare.
Ne abbiamo fatti 1095 per il momento.
La sosta obbligata ad Arequipa ci ha permesso di vivere la città senza l’ansia del turista. Come un viaggiatore che ha tempo da perdere e si lascia trascinare dalla gente, dal colore, dagli odori.
Una mattinata al mercato, fra la carne gocciolante sui banchi, i frutti variopinti, le cozze enormi, le cavie peruviane (vive), la camomilla, le foglie di coca, le montagne di pane.
La gente che saluta, che si fa fotografare sorniona, che indica i capelli biondi come una rarità.

La città si prepara alla festa. I due vulcani restano placidi sullo sfondo della cattedrale, appena protetti da una leggera nebbia. Nelle strade vendono sgabelli colorati e l’entusiasmo é contagiante. Arequipa di fondata nel 1540 da Francisco Pizarro (le di cui spoglie sono nella cattedrale di Lima) ed é stata storicamente teatro di numerosi scontri che hanno poi portato all’indipendenza.

Noi continuiamo il nostro vagabondare, visitiamo il museo dove è custodita Juanita, la regina dei ghiacci. Una giovane di circa 12-13 anni che fu trovata intatta dopo oltre 500 anni, nelle nevi perenni del ghiacciaio Amparo a circa 5000 mt di altezza. Gli Inca, per evitare che gli dei della montagna manifestassero la loro rabbia mandando disastri naturali, solevano fare sacrifici umani. Sceglievano la bambina più bella della famiglia reale e la conducevano in cima alla montagna, dove poi veniva sacrificata e sepolta coperta da teli di lana di alpaca (alpaca wool).
Quello che si vede oggi (oltre ad un video sottotitolato in francese datato anni ’70) sono un paio di stanze con foto e suppellettili vari e poi in fondo, al buio, una cella frigorifera (nemmeno no frost, come qualcuno ha fatto notare!) con Juanita, piccola e raggomitolata ora come allora.

Lei è ascesa con orgoglio su quel monte, convinta che quello che le toccava fosse un grande onore. Chi siamo noi per giudicare questo coraggio?

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