L’ombelico del mondo

Cuzco é l’ombelico del mondo. É qui che la civiltà inca ha fondato le proprie origini. Su queste montagne, la più antica civiltà del Sud America ha scritto la sua storia fino a quando – già logorati da lotte interne legate a beghe di successione – un manipolo di conquistadores sono arrivati e, in nome della corona spagnola, hanno distrutto tutto quello che hanno trovato ancora di vivo e vitale sul loro cammino (buona parte del lavoro era già stato fatto dalle malattie, importate anch’esse dal Vecchio Mondo e che correvano ben più veloce dei soldati).
Nel giro di poco più di cinquant’anni, la civiltà inca veniva cancellata dalla faccia della terra e, sulle rovine degli antichi templi, furono costruite sontuose cattedrali.
La Plaza de Armas di Cusco ne é la metafora esistente. Una piazza enorme, bellissima, contornata da un porticato coloniale e che ospita non una, ma due chiese. Da una parte la cattedrale e, alla sua sinistra, la Chiesa dei Gesuiti.
La storia delle due chiese é affascinante. Per qualche ragione, la loro costruzione é iniziata quasi simultaneamente nella seconda metà del 1500. Diciamo ad una decina di anni di distanza l’una dall’altra, che comunque é molto poco se si pensa che entrambe, per essere finite, hanno impiegato più di un secolo.
In una sorta di assurda rivalità, la Chiesa dei Gesuiti voleva essere più bella e più ricca della Cattedrale. Venne costruito un enorme altare in oro e l’interno venne decorato con ogni attenzione.
Questo non piacque a chi invece stava stava progettando la Cattedrale, che pensó quindi di scrivere al Papa (allora Paolo III) e far dirimere a lui la questione. Poiché le comunicazioni erano piuttosto lente, passó parecchio tempo prima che a Cusco arrivasse la notizia che il Papa si pronunciava a favore della Cattedrale.
Il risultato é una chiesa enorme, collegata ad altre due chiese come se fossero una cosa sola, con due altari (di cui uno ligneo bellissimo), un enorme spazio per il coro, anche questo in legno, con diverse cappelle tutte decorate con ori e argento.
Sul fondo della chiesa un dipinto raffigurante l’Ultima Cena. Al centro del banchetto, quasi a rubare la scena ai presenti, fa bella mostra di sé un “cuy”, un porcellino d’India.

Il resto del centro di Cuzco é piacevole da passeggiare, un piccolo mercato offre cibi tradizionali (fra cui la Chicha, la famosa birra artigianale di mais fermentato), ovunque negozi di souvenir e turisti.

La cosa bella dell’essere a 3200 mt é che tutti vanno ad un ritmo che non é quello della vita comune. Non c’è frenesia, solo la voglia di camminare leggeri in un paese che ci ha accolto come fosse casa.

Si sta facendo buio quando restituiamo l’auto. Dopo 11 giorni e 2150 km, lasciamo la nostra Nissan Almera. Non senza un attimo di malinconia.

Solo un attimo. Domani ci aspetta il treno per Aguas Calientes. Fra poco saremo a Machu Picchu.

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